Dopo la conferenza COP26 di Glasgow, sono in molti a parlare di occasioni mancate e in generale è diffusa la convinzione che si sia persa l’opportunità di prendere una posizione decisiva in materia di interventi sul clima. Quasi nessuno ha giudicato l’esito della conferenza come un successo: mentre le fonti più ottimiste – che spesso sono vicine ai governi dei paesi partecipanti – sostengono che siano stati compiuti dei passi avanti verso il raggiungimento dell’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5° in più rispetto ai livelli pre-industriali, la maggior parte dei media non istituzionali sono scettici sul fatto che questo obiettivo possa essere raggiunto senza un serio impegno da parte di alcuni dei paesi che producono più emissioni. Nel frattempo, gli attivisti per il clima sono assolutamente pessimisti e hanno espresso la loro delusione per la conferenza nel suo complesso.

Cosa ha ottenuto la conferenza COP26
I paesi intervenuti hanno concordato di accelerare il processo di revisione e rafforzamento dei loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) alla lotta contro il cambiamento climatico in una nuova conferenza l’anno prossimo, invece che in cinque anni, come stabilito originariamente dall’accordo di Parigi. La COP27 si terrà in Egitto. Uno dei punti principali della conferenza COP26 è stata la definizione di linee guida concrete per l’eliminazione graduale dell’uso del carbone, soprattutto da paesi come la Cina e l’India, le cui emissioni hanno un impatto significativo sul raggiungimento degli obiettivi globali di emissione. La maggior parte degli attivisti e un numero significativo di partecipanti sono rimasti delusi dal fatto che anche l’espressione “phasing out” (dismissione) non sia entrata nell’accordo finale, e sia stata sostituita da un più blando e meno convincente “phasing down” (riduzione). I paesi hanno anche accettato di eliminare i sussidi “inefficienti” per i combustibili fossili: un’altra espressione che gli attivisti temono possa lasciare spazio alla creazione di clausole che finiranno per rendere l’intero accordo inefficace.
L’obiettivo di 1,5°
Il cosiddetto “obiettivo 1,5°” è stato il punto focale di molti dibattiti alla conferenza COP26, con un focus specifico sui paesi in via di sviluppo, che sono spesso lasciati soli ad affrontare le conseguenze più pesanti di una crisi che non hanno creato. Per i piccoli Stati insulari e le loro comunità, come le Barbados, non riuscire a raggiungere tale obiettivo sarebbe una condanna a morte, poiché il rapido aumento del livello degli oceani li sommergerebbe interamente, costringendo l’intera popolazione a spostarsi. Ciò che la conferenza di Glasgow non è riuscita a fare, secondo la maggior parte dei gruppi di attivisti per il clima, è prendere misure adeguate per proteggere le comunità indigenti dagli effetti devastanti che il cambiamento climatico sta già avendo sui loro mezzi di sussistenza.
Gli aspetti positivi della conferenza COP26
Nonostante la delusione generalizzata, la conferenza ha raggiunto alcuni obiettivi promettenti. Oltre al mantenimento dell’obiettivo di 1.5°, c’è stata la forte enfasi posta sull’importanza di mantenere vivi gli ecosistemi naturali, in quanto essi preservano la biodiversità e mitigano le conseguenze dei fenomeni meteorologici estremi che sono provocati dal cambiamento climatico. Questo ha portato all’impegno di porre fine alla deforestazione entro il 2030. La conferenza si è conclusa anche con la promessa da parte delle principali economie mondiali di erogare 100 miliardi di dollari all’anno, per un periodo di cinque anni, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a far fronte ai danni legati al clima.
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